Quello che le donne (non) dicono
Festeggiare l’8 marzo? Per quanto se ne si dica, anche una festa può alzare il volume a ciò che per nessun motivo si deve tenere sottovoce. Il chiacchiericcio sui party libertini delle donne sconsolate deve restare ancorato al folklore di un’attitudine che nulla ha a che fare con la festa che prende il loro nome.
All’angolo i sordidi divertimenti che speculano sul nobile desiderio di rendere la donna protagonista di uno scenario sociale ancora in pieno ring.
Anche ci fosse una ragione sola – e le donne ne posseggono davvero molte – non si osteggi la memoria che viene in soccorso al tiepido sfondo presente, utile per governare – anche solo parzialmente – i loro diritti. Non basta mai. C’è sempre il futuro da rinvigorire. A questo serve il ricordo del passato, non per cancellarlo, bensì per sclerotizzarlo, per farne uno scudo senza scadenza.
Le donne non chiedono nessun omaggio, solo ciò che deve esser portato ai massimi regimi di rispetto, senza deroghe né prescrizioni. Nessun dono che sfoci in un falso “potere rosa” per guadagnare posizioni di privilegio o per ricevere beneficienza di ossequi. Meglio tacere e pensare alle ragioni per cui questa data deve potersi colorare di rosso, senza spendere buone parole che ne suggestionino solo il tempo della sua epifania.
La donna di cui festeggiamo l’esistenza è quella che deve poter apparire al di là del genere, oltre l’oggetto carnale, fuori da ogni categoria, se non quella di essere umano. Donna che va oltre la “donna”. Donna che possiede la cattedra della resilienza perché del cuore ne fa uno strumento di sentimento e di ragione a un tempo. Donna che vuole parlare, per non smettere mai. Soprattutto per raccontarsi e per svelare quanto abbia ancora da dire.