Isaac Asimov e le tre leggi della robotica
La parola «robot» viene dalla lingua ceca e significa «lavoro pesante». È stata usata per la prima volta nell’opera teatrale «RUR – I robot universali di Rossum» di Karel Kapek (1920). Robota indicava gli operai artificiali creati per liberare gli esseri umani dalla fatica, ma si ribellano (ricordate Frankenstein?). In verità si trattava di esseri organici e non meccanici, quindi più propriamente degli androidi.
È però con Isaac Asimov, nato in Russia nel 1920 ed emigrato negli Stati Uniti con la famiglia da bambino, che il termine diventa popolare.
Asimov concepisce i robot dotati di un cervello «positronico» capace di superare in tutto il cervello umano. Lo scrittore però, visti i precedenti, si pone fin da subito il problema di evitare le ribellioni. Inventa quindi le 3 leggi che inserite in profondità nel cervello dei robot, impediscono loro di fare del male agli esseri umani. Ovviamente fatta la legge, trovato l’inganno e in alcuni dei numerosi racconti che vedono protagonisti i robot (il primo fu «Robbie»), succede qualcosa che mette in discussione una delle leggi.
Peraltro Asimov nella sua vita pubblicò qualcosa come 500 libri (sic!), non solo di fantascienza, ma anche romanzi e racconti di altro genere e opere di divulgazione scientifica. Chiunque abbia anche solo provato a scrivere un racconto di 3 misere paginette conosce la fatica che si fa: pensate centinaia di volumi!
Come sempre, col passare del tempo, la fantascienza tende a diventare realtà: oggi è in corso un serrato dibattito sui pericoli e i limiti dell’intelligenza artificiale. Ma come già detto in uno di questi articoli, la Science Fiction è, per sua natura, pessimista, perché prende atto dei limiti della natura umana. E allora perché non pensare di inserire nei computer e nei programmi di IA qualcosa di simile alle 3 leggi della robotica?
1 Commento
Argomento di grande attualità. L’articolo stimola molto a riflettere