Il Vate D’Annunzio, vero anticipatore della pubblicità dell’io
Tempo di lettura: 2 minuti. È il principe intellettuale venuto dall’Abruzzo, il rappresentante mondiale del “vivere inimitabile”, l’uomo che ha fatto della propria vita un’impareggiabile opera d’arte. È Gabriele D’Annunzio,
È il principe intellettuale venuto dall’Abruzzo, il rappresentante mondiale del “vivere inimitabile”, l’uomo che ha fatto della propria vita un’impareggiabile opera d’arte. È Gabriele D’Annunzio, l’unico originale D’Annunzio. Nessuno prima e nessuno dopo che abbia avuto un tale munifico amor proprio in grado di trionfare, all’interno di una sola personalità, nelle numerose e variopinte facce della cultura.
Il Vate, poeta sacro e profeta intelligibile, definito “ultimo interprete della più duratura tradizione poetica italiana”, si conferma, nella nostra memoria, artista dottissimo dall’ego fuori taglia. È stato lui, con la sua vita vera-dolce di piaceri e amara di vizi-a permettere al mondo di continuare a parlare di sé, nel suo più alto e più basso profilo.
Impossibile enumerare le leggende, le storie verosimili e le inequivocabili certezze che hanno dipinto il suo mito: un animo che trasudava trasgressione e creatività, così pieno di geniale follia che ha toccato paralleli e meridiani di tutti i mondi possibili.
È stato un’amante dell’arte, della musica, della letteratura, della storia, della politica, con tutti i suoi interni garbugli. D’Annunzio ha respirato fino agli eccessi l’odore della vita: dalle donne alle droghe, dalla mondanità dei salotti aristocratici alla passione per la sregolatezza del piacere.
E tra i tanti amori, uno completamente sconfinato. L’amore per se stesso. In lui pulsava una fortissima attrazione per la persona che abitava il suo pensiero, i suoi ideali, la sua fame di sapere. Questo “io”-ripieno di saggezza e umori variegati, desideroso di apparire-lo ha sempre innalzato, senza censura. A partire dall’azione di falsa dichiarazione della propria morte, condita da una successiva smentita: una strategia grottesca con cui ha collaudato la propria bramosia per la popolarità.
Vanesio, strabordante di narcisismo, voleva essere al centro del panorama sociale. Non chiedeva altro che uno spazio perché si potesse parlare di lui. Manager di se stesso, faceva del proprio io oggetto di promozione e pubblicità. Una comune illustrazione di quanto vediamo oggigiorno sulle piattaforme dei social, dei network, che espongono, in vetrine virtuali, coloro che desiderano notorietà.
D’Annunzio potrebbe esser stato un fatale, inconsapevole, precursore della contemporanea pubblicità dell’io e dell’autocelebrazione compulsiva che dilaga senza freni tra youtuber e influencer.
Cosa direbbe oggi il nostro poeta dell’esibizione commerciale dei profili di Instagram? Farebbe parte della community degli “stati” leziosi e contraffati dai filtri o ne prenderebbe le distanze perché troppo poco raffinati per le sue melopee?