Emozioni grandi per “Piccole donne”. La Alcott ci riporta a quella famiglia che fa bene al cuore
Tempo di lettura: < 1 minuto. “Ma com’è che siete cresciute così in fretta?” domanda Miss March nel guardare le sue piccole donne in un fermo immagine dominato da lucidità
“Ma com’è che siete cresciute così in fretta?” domanda Miss March nel guardare le sue piccole donne in un fermo immagine dominato da lucidità e malinconico realismo. Quesito amletico, dilemma irrisolvibile che si conquista ogni madre nell’esperienza che lascia interdetti a ratio umana. Se c’è una risposta nessuna è più esplicita di quella che danno in coro Meg, Jo, Beth ed Amy. Le quattro ragazze mettono il proprio cuore all’orecchio della madre e di tutto il pubblico del Repower. Il prodotto è quello di un concerto sinfonico che parte dall’atavica, sensazionale, percezione del crescere.
Con queste cinque donne, straripanti di vita, si comprende l’unione femminile che dona forza, vigore, che contrasta le avversità quotidiane e abbraccia l’immacolato desiderio di procedere su un cammino comune, facendo squadra, navigando collegati alla scoperta del medesimo territorio. Con loro si ride, si piange, si spera, si sogna, si resiste e ci si rinnova. Sono capaci di corroborare la vena empatica e solidale di quel tradizionale rapporto di sangue che, oggi, non è dato per scontato.
La compagnia dell’Alba di Ortona ha lavorato in maniera eccezionale; in modo speciale, ha conferito attenzione ai dialoghi musicati-tutti rigorosamente italiani-che hanno inebriato l’aria del sentimento inesauribile dell’amore familiare, quello di un nido che la tradizione vuol proteggere come bene in estinzione. La storia, fedele al romanzo, resta allegoria di un viaggio, quello dell’essere umano che cresce senza perdere le orme lasciate alle proprie spalle. Quelle tracce non sono che fossili preziosissimi su cui accovacciarsi e sentirsi più vivi.