Amore e follia
L’amore. Cos’è, se non la sintesi perfetta di un segreto che consente all’uomo la propria esistenza? Dal poeta più conturbato allo scienziato più cerebrale giungono alte definizioni che restano sempre lontane dal “finirne il significato”. Si tratta di quel sentimento vitale con cui l’uomo gioca, si innalza, si incorona. Non solo. Si concede, si disarma, per finire accartocciato e in ginocchio.
L’amore staglia mondi caramellati di piaceri e inchioda nel sottobosco più fitto di dolore. Ma questo è il binomio sotterrato nella notte dei tempi che ne riempie il tessuto. Un’imbottitura ingombrante, incontenibile, che non si lascia mai cucire neppure dalle mani della sarta più esperta. È il soggetto e, insieme, l’oggetto di tutta una vita. L’amore è una totalità dinamica che conserva sempre un fondo identico nel corso evolutivo della storia umana. Erroneamente, potrebbe apparire differente nella ricezione alle nuove generazioni. Ma resta una trattazione di cui si può parlare senza scadenza, senza dimenticare la linea che la delimita da concetti ben distinti come l’ammirazione, l’amicizia, il sesso, il desiderio. Lo insegna il maestro Platone nel Simposio. Eppure, l’amore si riflette in un’emulsione che non permette il congedo di tutti quei gradi di sentimento che da questo derivano. È un mondo intero che non può essere diviso in continenti.
L’amore è un metaxù, qualcosa che sta in mezzo, tra noi e gli dèi, tra il razionale e l’irrazionale. È l’intermediario che comunica con il ripostiglio nascosto della nostra follia e non conosce il linguaggio della ragione. Quando si ama, infatti, si perde la testa. Letteralmente. Come negarlo? Si entra nella dimensione introspettiva per eccellenza che porta una carica positiva. Sempre, anche quando una storia finisce. Sì, perché permette la conoscenza, quindi la mutazione e la rigenerazione del proprio io dopo uno schianto.
Amare significa entrare in uno scenario di generativa follia, dentro un turbinio energetico indomabile. Forse solo un sensibile indagatore come Shakespeare è riuscito ad avvicinarsi all’indeterminatezza dell’amore, lasciandone galleggiare la delicata essenza.
Cos’è in fondo se non “una follia segreta, fiele che strangola e dolcezza che sana?”.